Città di vetro. Nel cuore della notte di una New York silente e allucinata, Daniel Quinn, autore di romanzi polizieschi, riceve una telefonata da uno sconosciuto che lo ha scambiato per l’investigatore Paul Auster. Indossati gli affascinanti panni di quest’ultimo, Quinn decide di incontrare il suo misterioso interlocutore. Peter Stillman, questo il nome dell’uomo, è un individuo dal passato torvo: dopo la morte della madre, il padre, ossessionato dalla ricerca del linguaggio primigenio, lo tenne segregato in casa sua nascondendolo agli occhi del mondo e impedendogli ogni contatto con l’esterno, fino quando la vicenda non venne casualmente scoperta e il carceriere arrestato. Adesso che il padre ha scontato la galera, Peter e sua moglie affidano al falso Auster il compito di pedinarlo per evitare qualsivoglia forma di vendetta e scoprire quali piani nasconde.
Fantasmi. L’investigatore Blue viene incaricato dal suo capo, il fantomatico White, di mettersi sulle tracce del misterioso Black e spiare pedissequamente ogni passaggio della sua vita. Stabilitosi nell’appartamento frontale a quello di Black con l’intenzione di svelarne le mosse, Blue finirà per perdersi nell’ossessione della scoperta della verità, smarrendo in tal maniera ogni contatto con la realtà e scoprendo in ultima analisi la labilità del confine che separa l’essere cacciatore dall’essere preda.
La stanza chiusa. Nel placido scorrere di un’esistenza monotona, lo scrittore protagonista di questa storia viene contattato dalla moglie del vecchio amico Fanshawe, scomparso misteriosamente anni prima, affinché decida cosa fare del voluminoso materiale scritto che l’uomo ha lasciato alla donna, come da quest’ultimo espressamente richiesto prima della sua scomparsa. Attraverso i manoscritti dell’amico, lo scrittore ricostruirà i passaggi sconnessi di un’esistenza sopra le righe, fino a calarsi ossessivamente nei panni di Fanshawe con l’intenzione di iniziarne la ricerca. Ma l’arrivo inaspettato di una lettera da parte di quest’ultimo rimette tutto in bilico.
Pubblicati negli States tra il 1985 ed il 1987 e raccolti in Italia in un unico volume edito da Enaudi, i racconti de
La Trilogia di New York segnano il punto di intersezione tra il noir classico alla Ellroy ed il più complesso impianto kafkiano che catapulta gli antieroi del mondo di Auster in una New York visionaria popolata da fantasmi che ne solcano le abuliche vie. Preda delle proprie ossessioni, ognuno dei protagonisti al centro delle vicende narrate finirà vittima del capovolgimento delle parti, in un folle gioco di rimandi autocitazionistici che lentamente, ma inesorabilmente, porterà il lettore alla consapevolezza d’esser stato a sua volta protagonista di un metaromanzo nel quale ogni storia concorre a chiarire il senso di quella precedente. Si, perché
La Trilogia non è una vera raccolta, ma un unico romanzo dispiegato in tre parti affinché chi ne abbia la voglia e l’attenzione possa ricostruirne gli indizi lasciati sparsi dall’autore e tracciare una superiore trama che valica la superficialità del racconto poliziesco per approdare ad una più seria ricerca dell’introspezione dell’individuo.
“Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all'apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui. Molto tempo dopo, quando fu in grado di pensare a ciò che gli era accaduto, avrebbe concluso che nulla era reale tranne il caso. Ma questo fu molto tempo dopo. All'inizio, non c'erano che il fatto e le sue conseguenze. La questione non è se si sarebbero potuti sviluppare altrimenti o se invece tutto fosse già stabilito a partire dalla prima parola detta dallo sconosciuto. La questione è la storia in sé: che abbia significato o meno, non spetta alla storia spiegarlo” (da
Città di vetro)
Voto 8
Giuseppe "Joe" Castronuovo
amando la letteratura "labirintica" non posso non amare Auster. Moltiplica l'io dei protagonisti, in un sapientissimo gioco di rimandi interni. Raddoppia il tempo, creando livelli paralleli. Forse è forzato, ma mi ricorda tantissimo Borges e Calvino... un intreccio di sentieri temporali, intricati castelli di parole. Trovo questo romanzo, per la sapiente (de)strutturazione, un capolavoro. E una poesia di solitudine e angoscia contemporanee.
RispondiEliminaCome direbbe qualcuno (!!!), questo libro è geniale.
Sosa
Sarà la mia prossima lettura se capiterò a New York. L'ho notato in libreria leggendo l'incipit. Non c'entra niente,ma se invece capitate a Firenze... ascoltatene la satira gastronomica su http://spremiacume.wordpress.com/2010/03/09/consigli-gastronomici-fu-turisti/
RispondiEliminano, non c'entra niente;vedo soprattutto un io fragile e dai contorni sfumati,ripiegato su di sè cercare senza posare lo sguardo e l'anima, il niente.
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