Siamo recensori pericolosi, questo si sa. Ma se volessimo essere buoni vi diremmo di non leggere IL MALE OSCURO di Giuseppe Berto. Perché è pericoloso per la vostra salute. Quella mentale.
Contro ogni regola della sintassi, il libro elenca: pianti facili, ossessioni del padre fisico sepolto che fa male alla salute, positivisti in punto di morte, nonché odio per i radicali, difficili rapporti coi produttori, coliche renali e medico di casa, agopuntura cinese, cure omeopatiche, guaritori e maghi, padre ex maresciallo fascista e negoziante fallito, consigli di dormire a finestra aperta, mangiare pere la mattina presto, “basta un po’ di valeriana”, perdite di pazienza, pretese che il malato “guarisca da solo”, agopuntura cinquemila lire, “piangi piangi che ti fa bene”, dolori al colon, disintegrazione dell’Io, “non ho i denari per essere ricoverato nelle cliniche di specialisti per malati di cervello”…e così via.
Il risultato è assimilabile, come alcuni hanno sostenuto, allo stream of consciousness joyciano, ma soprattutto al monologo teatrale (come certe riduzioni radiofoniche del romanzo hanno poi confermato).
Dunque cari lettori di questo blog, avete paura di leggere le vostre stesse meschinità che in ogni famiglia avete subìto e poi dato? Avete paura delle donne? Avete paura dei figli? Della morte? Siete rivali con vostro padre? Non leggetelo, perché forse vi specchierete e cadrete in depressione. O forse, nel leggerlo, conquisterete quell’integrità morale che fa di voi un vero uomo o una donna matura. Però noi vi avvertiamo già da ora che, una volta finito di leggerlo, non sarete uguali come prima. Sarete coscienti, come la mattina dopo un incubo appena fatto e per la prima volta ricordato. Sapendo, di quel brutto sogno, subito il significato e senza bisogno di consultare la smorfia napoletana.
LA TRAMA - Giuseppe Berto, sceneggiatore cinetelevisivo, reduce da diversi insuccessi letterari e in preda a una forte crisi esistenziale, iniziò la stesura di questo romanzo come forma di catarsi autoanalitica su invito del suo psicanalista. La storia in effetti è autobiografica, ben al di là della disposizione di Berto a esporre i fatti della propria vita.
Il protagonista, uno sceneggiatore, in seguito alla morte del padre, che ha sempre considerato autoritario e gretto, e a cui rimprovera di non averlo mai amato, entra in una fase di depressione acuta, che travolge tutti i suoi affetti, e che lo porta a terribili forme di isteria somatizzante. La crisi sembra avere il suo punto di partenza nel momento in cui il narratore matura la consapevolezza che il padre è malato di tumore. Ciò avviene durante la visita chirurgica cui casualmente assiste (sempre che, cosa che la psicanalisi mette in dubbio, esistano gesti casuali). Da questo momento il protagonista è assillato dal pensiero del padre morto, per cui inizia a nutrire un'inattesa compassione, ossessionato dal cancro, ipostasi carnale di quel "male oscuro" che sempre di più lo insidia. Addirittura arriverà ad accusare terribili dolori che condurranno anche lui, sulle orme del padre, in sala operatoria, dove però gli verrà riscontrata solo una salute fisica di ferro.
Nell'affrontare questo suo male, oscuro per l'appunto tanto nelle cause quanto nella forma, egli manifesta tutte le sue nevrosi non solo intorno alle donne che vivono la sua vita, ma indagandone la causa, laddove gli sarà possibile.
IL PRIMA
IL DOPO
Parthenope – di Paolo Sorrentino
1 settimana fa
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